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Il viaggio spaziale nella prima fantascienza (1850-1930)

Riccardo Valla

Parlando di viaggi immaginari nello spazio — un genere letterario che tradizionalmente era compreso tra le ironie swiftiane e le reveries pascoliane (E mentre aereo mi poneva in via / con l'ippogrifo pel sognato alone...) — va innanzitutto ricordato che il concetto di spazio, nel senso di spazio esterno o vuoto interplanetario, è entrato soltanto in epoca piuttosto recente fra i comuni elementi della conoscenza del mondo: ancora nella prima metà del secolo scorso s'incontrano, persino nelle opere di divulgazione scientifica, riferimenti al presunto "etere" che colmerebbe lo spazio (riferimenti che, ovviamente, non derivano da considerazioni sui campi e le loro particelle virtuali). Per molti secoli, dunque, anche l'immaginazione come la natura aborriva il vuoto.

Trascurando i testi in cui non c'è una chiara distinzione tra la Terra e gli astri, e in cui il viaggio ad altri mondi non è percepito come qualcosa di diverso da un viaggio sulla superficie terrestre (per esempio Le avventure incredibili al di là di Tule di Antonio Diogene, in cui, a quanto risulta dal riassunto a noi pervenuto, sembra che la Luna venisse raggiunta dai protagonisti "via terra", come se si trattasse d'un lontano paese qualsiasi), tra gli scritti dell'antichità classica che anticipano immagini e spunti tipici della fantascienza, il più noto testo che descriva un viaggio agli altri pianeti è La storia vera di Luciano di Samosata. In questa e in altre narrazioni analoghe che s'incontrano lungo un arco temporale di quasi due millenni — e a dispetto, almeno nell'ultimo mezzo millennio, di quanto scoperto dal Torricelli sulla pressione dell'atmosfera e le sue variazioni con la quota rispetto al livello del mare — la convinzione di fondo è che vi sia aria nello spazio tra gli astri.

Aria non priva di perturbazioni. Per esempio, così Luciano descrive il viaggio alla Luna, e molti seguiranno il suo esempio: Verso il mezzodì, sparita l'isola, un improvviso turbine roteò la nave, e la sollevò quasi tremila stadi in alto, né più la depose sul mare: ma così sospesa in aria, un vento, che gonfiava tutte le vele, la portava. Sette giorni e altrettante notti corremmo per l'aria; nell'ottavo vedemmo una gran terra nell'aria, a forma di un'isola, lucente, sferica, e di grande splendore. È la Luna; da essa, Luciano passa poi al Sole e ad altri pianeti, raggiunti navigando nell'aria o volando su enormi uccelli.

Il sistema usato per raggiungere la Luna dall'Astolfo del Furioso è analogo, e le prime immagini innovative che s'incontrano in questi viaggi fantastici sono probabilmente quelle di Cyrano. Nel suo L'altro mondo, tra i vari modi con cui cerca di raggiungere la Luna, il principale è quello di volare legandosi alla cintura una serie di ampolle piene di rugiada, giacché la mattina la rugiada ritorna in cielo (Je m'étais attaché autour de moi quantité de fioles pleines de rosée, et la chaleur du soleil qui les attirait m'éleva si haut, qu'à la fin je me trouvai au-dessus des plus hautes nuées).

Il gigantesco Micromegas di Voltaire fa ancora più in fretta, perché salta di astro in astro con l'aiuto di qualche cometa o dei raggi solari: Notre voyageur connaissait merveilleusement les lois de la gravitation, et toutes les forces attractives et répulsives. Il s'en servait si à propos, que, tantôt à l'aide d'un rayon du soleil, tantôt par la commodité d'une comète, il allait de globe en globe lui et les siens, comme un oiseau voltige de branche en branche.

Il viaggio interplanetario grazie alle comete compare poi anche in Verne e negli Esploratori dell'infinito del nostro Yambo. Anche un altro narratore a briglia sciolta, il barone di Münchhausen, viaggia fino alla Luna, e per ben due volte. La prima per recuperare la sua accetta, che gli era sfuggita di mano ed era finita lassù. Per salirvi, il barone usa un fagiolo prodigioso che, crescendo con incredibile velocità, in breve tempo si aggancia a uno dei corni lunari e gli permette di salire. Il secondo viaggio è accidentale, perché la sua nave è sollevata da una tromba d'aria e quando è uscita dall'atmosfera della Terra viene catturata da una tromba d'aria lunare e depositata in un comodo porto del nostro satellite: The ship [is] driven by a whirlwind a thousand leagues above the surface of the water, where a new atmosphere meets them and carries them into a capacious harbour in the moon.

Tra gli autori italiani, Antonio Caputi, nel poema Estasi e rapimento sopra la Luna (di "Archerio Filoseleno", 1764) viene avvolto, per intercessione della Madonna, da una nube di energia che lo solleva (Quando ecco che mi trovo cinto intorno / Da nube rilucente al par del Sole, / Che ratto mi divelse, e sollevommi / In alma, e corpo) e lo porta sulla Luna, dove gli viene data come guida, per conoscere gli abitanti del satellite, nientemeno che Dante Alighieri.

Verso la fine degli anni 1830, con la moda delle presunte scoperte lunari dell'astronomo sudafricano Herschel — effettuate grazie al suo nuovo telescopio: una moda basata su uno scoop fittizio, ma che influenzò anche vari scritti di E.A. Poe, come il suo Mellonta tauta — in tutti i salotti si parlava della Luna e dei viaggi lunari (come afferma in un suo libretto pubblicato a Modena nel 1836 un anonimo "accademico tassoniano": Uno de' passati giorni, quando non si poteva stare due minuti con una signora, un amico, o un galantuomo qualunque ei fosse, che prima ancora di chiederti come ti stessi di salute, non ti dimandasse conto della Luna... Non c'è rimedio: certi discorsi diventano alle volte epidemici: pochi giorni prima non si parlava che del prestidigitatore Bosco; adesso non si discorre d'altro che della Luna), e le stampe dell'epoca ritraggono i viaggiatori lunari, montati su strane creature alate o portati da mongolfiere come il Pulcinella sulla Luna di una nota serie di incisioni napoletane.

È difficile credere che le descrizioni della Luna e dei lunari inserite in scritti di natura comica, satirica o metaforica corrispondessero a effettive convinzioni degli autori — se non forse in quella parte in cui si ipotizza sulle caratteristiche del mondo fisico — e dunque sono da vedere come metafore e il problema si sposta ogni volta alla ricerca di che cosa simboleggino. Il realismo entra in queste descrizioni soltanto con la generazione successiva a quella della moda lunare di Herschel, all'inizio del periodo in cui si delinea la fantascienza, che per comodità possiamo indicare come quello che va dal 1850 al 1930. In tutto questo periodo, i viaggi all'interno del Sistema solare sono uno degli argomenti più popolari, insieme a quello delle macchine precognizzate, ma non ancora realizzate a quell'epoca, come l'aeronave e il sommergibile.

È interessante notare come inizialmente, e fino ai primi anni 1930, questi viaggi portassero a incontrare abitanti degli altri pianeti che non differivano dall'uomo. Tra le poche eccezioni c'è Herbert G. Wells in due noti romanzi: La guerra dei mondi e I primi uomini sulla Luna.

In questa produzione, i mezzi per raggiungere gli altri pianeti — i tipi di propulsione che si incontrano nei primi romanzi di fantascienza — sono i più svariati, e l'unica eccezione sembra essere quella che poi si realizzò davvero, ossia il motore-razzo, forse perché intuitivamente poteva sembrare uno spreco dover accelerare anche il propellente oltre al carico utile e non si teneva presente che il propellente stesso diventa poi l'indispensabile massa di reazione. Forse questo limite dell'immaginazione è una sopravvivenza del vecchio concetto quasi-aristotelico che lo spazio non sia vuoto e che dunque si possa viaggiare tra i mondi "spingendo l'aria che sta dietro di noi".

I razzi, ovviamente, esistevano già, ma come ai cinesi non era venuto in mente di usare la polvere nera per fare armi da fuoco di tipo europeo, così agli scrittori della prima fantascienza non venne in mente di usarli per spingere una navicella fino ad altri pianeti. Con questo scordando un celebre antesignano, perché, curiosamente, a parlare per primo di razzi era stato Cyrano, che se vi si era imbattuto grazie a un tipico caso di eterogenesi dei mezzi mentre si dedicava ai suoi esperimenti immaginari con la rugiada. Nella sua narrazione, il primo esperimento lo aveva portato — complice la rotazione terrestre — in Canada. Là costruisce una "macchina a rugiada" — riprodotta nelle illustrazioni come una specie di portantina — che dovrebbe sollevarlo alla quota voluta, ma che precipita rovinosamente: Avec une machine que je construisis et que je m'imaginais être capable de m'élever autant que je voudrais, je me précipitai en l'air du faîte d'une roche. Mais parce que je n'avais pas bien pris mes mesures, je culbutai rudement dans la vallée. Cyrano torna a casa un po' ammaccato e si massaggia i lividi col midollo di bue, ma allorché ritorna sul luogo della caduta con l'intenzione di recuperare la macchina, scopre che i soldati l'hanno portata nella piazza per bruciarla. Quando capiscono che vola, ai soldati viene l'idea di legare ad essa un buon numero di fuochi pirotecnici per farne un drago fiammeggiante: Après plusieurs explications de ce que ce pouvait être, quand on eut découvert l'invention du ressort, quelques-uns avaient dit qu'il fallait attacher autour quantité de fusées volantes, pour ce que, leur rapidité l'ayant enlevée bien haut, et le ressort agitant ses grandes ailes, il n'y aurait personne qui ne prît cette machine pour un dragon de feu. Cyrano, indignato, monta sulla macchina per portarla via, ma in quel momento scoppiano i razzi e la macchina parte inopinatamente verso il cielo. Cyrano scopre nel corso del viaggio che il midollo con cui si è curato subisce l'attrazione della Luna e la dirige lassù; poco più tardi la raggiunge invece di perdersi nello spazio.

Tra i sistemi immaginari per viaggiare nello spazio che troviamo nei vecchi romanzi compaiono anche modi non scientifici, legati alla passione fine Ottocento per l'occultismo. In una nota serie di romanzi di Edgar R. Burroughs, l'autore di Tarzan, apparsi a partire dal 1910, il protagonista proietta su Marte il proprio corpo grazie ai fumi magici di una fattucchiera. E nel Prigioniero del pianeta Marte, di Gustave Le Rouge, 1908, si usa come forza motrice l'energia mentale di diecimila praticanti dello yoga.

Un curioso viaggio nello spazio, questo già scientifico, almeno nelle intezioni, è quello che incontriamo in André Laurie, Gli esiliati della Luna (1888). Laurie era un collaboratore di Verne, ma scrisse anche vari romanzi firmati a suo nome, o meglio col suo pseudonimo, perchè era un anarchico ricercato dalle autorità francesi e abitava a Londra. Nel romanzo si cerca di avvicinare la Luna alla Terra per sfruttare i suoi minerali e allo scopo viene costruita nel Sahara una gigantesca elettrocalamita. L'effetto, però è esattamente l'opposto del previsto, perché sono la calamita e un pezzo del Sahara a finire sulla Luna.

Il metodo di viaggio spaziale più noto è certo il cannone lunare di Verne, auore che doveva avere delle convinzioni tutte sue sulla velocità di fuga, tanto che anche nel romanzo I 500 milioni della Begum c'è un cannone che, puntato su un bersaglio a qualche decina di chilometri di distanza, scaglia invece in orbita il suo proiettile.

L'idea del cannone compare anche in altri autori: i marziani della Guerra dei mondi di Wells usano dei cannoni per lanciare sulla Terra le loro navi, e nel film Vita futura, girato nel 1936 su soggetto di Wells, ne compare ancora un esemplare, anche se in veste moderna e con linee molto eleganti, come del resto tutta la scenografia del futuro ritratto in quel film.

Se il cannone potrebbe essere possibile (disponendo di una lunghezza adeguata, tale da non sottoporre i passeggeri ad accelerazioni di due o tre cifre), altri sistemi di viaggio interplanetario ci appaiono chiaramente impossibili: per esempio, raggiungere in pallone una cometa o un asteroide e poi salire su di esso come fa lo scrittore italiano Yambo nei già ricordati Gli esploratori dell'Infinito (1906), o usare il bizzarro sommergibile volante, con eliche che gli permettono di viaggiare in qualsiasi elemento, della Colonia lunare dello stesso Yambo (1908). L'aspetto che desta perplessità e che anche ora porta a chiedersi quale fosse l'obiettivo della metafora è che già allora si sapeva che tra gli astri non c'era aria.

Un fantasioso mezzo di propulsione è quello degli Astronauti del polline (1931), scritto da un autore italiano che si firmava con lo pseudonimo Ciro Khan e le cui opere spiccano ancor oggi per la freschezza delle trovate. Mescolando tra loro la panspermia di Arrhenius (la dottrina secondo cui i "semi" di vita viaggiano nello spazio e portano la vita sui vari pianeti) e l'élan vital di Bergson, immagina che la vita, e in particolare il polline, abbia la forza necessaria per lasciare un mondo e raggiungerne un altro; al protagonista è sufficiente portarsi in qualche luogo dove la vegatazione sia particolarmente lussuregiante e la pressione della vita lo spingerà al di là dell'atmosfera.

Un altro interessante scrittore di quegli anni, Calogero Ciancimino, noto soprattutto per i romanzi scritti con Luigi Motta (autore di molte continuazioni dei cicli di Emilio Salgari), accenna al viaggio nello spazio in Come si fermò la Terra (1936), ambientato nell'anno 3000. I terrestri non sono mai riusciti a uscire con regolarità dal pianeta: Se si erano risolti tutti questi problemi meravigliosi, se era stato possibile comunicare con i marziani, mediante la stazione radiotelegrafica-luminosa dell'osservatorio "H" — [l'osservatorio astronomico dell'Himalaia] — non si era ancora riusciti a fare un viaggetto d'esplorazione nella luna. Nel vuoto quasi assoluto, oltre i cento chilometri di altitudine, le eliche, non potendo "mordere" nessuna sorta di atmosfera, giravano in folle e le ali non erano capaci di reggere nemmeno un grammo. Tre anni prima, un grande scienziato italiano, l'ingegnere Ugolino Bitto, aveva costruito un proiettile, il quale, secondo i calcoli più accurati, mediante l'esplosione progressiva di alcuni razzi potenti, era partito con la velocità iniziale necessaria, di undicimila metri al secondo. Siccome era di dimensioni rispettabili, il telescopio lo aveva seguito nella sua corsa sino a centomila chilometri; poi lo aveva perduto di vista per sempre. La stazione automatica radiotelegrafica ch'era stata impiantata nell'interno, aveva emesso regolarmente i segnali, sino a trecentocinquantamila chilometri, cioè a soli trentaquattromila chilometri dalla luna; dopo era taciuta improvvisamente, senza emettere in seguito nessun altro segnale; forse si era guastata, forse il proiettile aveva deviato dalla rotta ed era precipitato nello spazio incommensurabile che gli si spalancava davanti, continuando la sua corsa senza scopo nell'infinito; forse, per errore di calcoli nella costruzione, si era trasformato in una effimera stella filante, incandescente, polverizzandosi.

I marziani, invece, sanno costruire veicoli spaziali e quando un disastro cosmico colpisce la Terra, inviano un loro veicolo magnetico, il "lampo-treno", a salvare la popolazione umana: Il mezzo aereo aveva la forma di un proiettile a due punte, era lungo otto chilometri, largo la metà e poteva portare centomila persone. Era costruito con un metallo speciale, del quale non era nota ai terrestri la lega, ove però entravano il nichel, il cromo, il magnesio e l'alluminio, insieme ad un metalloide, simile al sodio, chiamato "Zantio", il quale dava una resistenza eccezionale alla lega, che poteva sopportare i diecimila gradi di calore senza fondersi. (...) Aveva due soli sportelli alle estremità, di una materia trasparentissima, senza la minima incrinatura o bolla, più resistente del nostro vetro. (...) Numerose protuberanze, basse e perfettamente connesse, si notavano lungo lo scafo esterno del lampo-treno; erano i ricevitori dell'energia elettrodinamica, fornita da Marte, il quale rappresentava un punto emittente corrente elettrica che spingeva il lampo-treno nello spazio.

Un aspetto di questa produzione del periodo 1850-1930 è il suo contenuto scientifico discontinuo, nel senso che in uno stesso romanzo coesistono molte volte un contenuto astronomico assai preciso, con dati sulle orbite, i periodi rotazione, le dimensioni dei vari pianeti, e, accanto a queste informazioni, convinzioni ingenue come quella già ricordata della presenza di aria nello spazio. Sarebbe interessante accertare fino a che punto questa disparità fosse voluta, dato che anche un autore come Flammarion, il quale era un famoso astronomo, si concedeva quel tipo di licenze.

Il più noto sistema di viaggio spaziale, come già notato, è quello di Verne, e questo è dovuto sia all'immediatezza dell'immagine (immediatezza cui forse contribuiva anche il fatto che tra gli spettacoli di circo c'era qiello in cui un uomo si faceva "sparare" da un cannone) sia all'immensa popolarità dell'autore, i cui romanzi erano diffusi in innumerevoli riedizioni. Se però si considera il numero di autori che lo hanno utilizzato, il sistema di viaggio più usato è indubbiamente l'antigravità.

Il modo per ottenerla può essere una vernice, un metallo, un particolare uso dell'elettricità, o qualche nuova scoperta scientifica immaginaria, come nel romanzo che lanciò l'idea del viaggio ad altri sistemi stellari, e non più soltanto ai pianeti del sistema solare. Il romanzo è L'Allodola dello spazio, del 1928, di E.E. Smith.

La fama di essere stato il primo a immaginare di poter annullare la forza di gravità è in genere attribuita a Wells con il suo romanzo del 1901, I primi uomini sulla Luna, in cui lo scienziato Cavor inventa la "cavorite", sostanza che risulta opaca alla gravità e che quindi permette di lasciare la Terra. L'idea venne presto imitata anche da scrittori di altri paesi, come il francese Arnould Galopin, che nel 1905 scrisse Il dottor Omega, avventure di tre francesi sul pianeta Marte, in cui il protagonista inventa la "repulsite", parente stretta della cavorite.

In realtà, da quando si è iniziato a studiare più attentamente le edizioni di fine Ottocento, si è visto che accenni a sistemi antigravità erano già apparsi in volumi degli anni e persino dei decenni precedenti; il più probabile ispiratore di Wells è un volume pubblicato sotto lo peudomimo "Ellswort Douglass" da uno degli editori di Wells, nel 1899.

Il romanzo è intitolato L'intendente del Faraone e si distingue tra la produzione dell'epoca perché contiene interessanti previsioni sulle esperienze di caduta libera durante il viaggio nello spazio. Nella storia, l'inventore della nave antigravitazionale arriva su Marte e scopre che è abitato da uomini e che la società di quel pianeta assomiglia a quella dell'antico Egitto. Ricordandosi della storia di Giuseppe e del Faraone, assume il controllo del mercato del frumento e cerca di impadronirsi finanziariamente del pianeta.

Douglass precede Wells di due anni, ma gli studiosi italiani delle origini della fantascienza fanno notare come fin dal 1897 fosse apparsa un'opera italiana in cui si parlava di antigravità, il romanzo di Ulisse Grifoni, Dalla Terra alle stelle, viaggio meraviglioso di due italiani e un francese.

Qui ad annullare la gravità non è un metallo particolare, ma una vernice. Nel romanzo sono descritti i viaggi di prova sull'Africa, seguiti dalla descrizione astronomica dei pianeti e la partenza per Marte. Poi si accenna al fatto che il veicolo si è distrutto al rientro dal quel viaggio.

Il romanzo ebbe una precedente edizione limitata nel 1885 e dunque Grifoni ha preceduto Wells di una quindicina di anni.